È stata colpa tua
Fanno discutere le sentenze che negli ultimi anni in Italia e in Europa non hanno considerato violenza lo stupro nei confronti di donne che indossavano jeans
di Francesca Camillieri
La mattina prima di uscire di casa guardatevi bene allo specchio. Chiedetevi se è davvero il caso di indossare quel tipo di biancheria intima, se quei jeans sono troppo stretti, se quelle scarpe abbiano i tacchi troppo alti o se quella camicetta sia troppo trasparente perché altrimenti correrete il rischio di essere violentate, e ve la sarete andate a cercare.
Sembra assurdo ma ancora più assurdo risulta il fatto che secondo la legge queste ragazze se la siano cercata! Molte le sentenze della cassazione che hanno permesso ai molestatori di farla franca proprio perché alla fine, a quanto pare, la molestia sessuale è stata “voluta” dalla vittima stessa.
Nel 1999 una ragazzina di 17 anni a Roma, è stata stuprata dal suo istruttore di guida (45 anni); l’uomo è stato assolto perché a quanto pare la ragazzina aveva dei jeans troppo stretti e i giudici si sono seriamente chiesti in aula se si fosse opposta o no con tutte le sue forze al violentatore. La risposta è stata evidentemente no, visto che lo stupratore era riuscito a sfilarle i jeans – indumento che, come tutti sanno, non è sfilabile “senza la fattiva collaborazione di chi lo porta”. Dunque la ragazza “ci stava”, era “consenziente”. Dunque non è stata stuprata.
Così come non è stato considerato stupro in Irlanda, l’aggressione subita di recente da una ragazza sempre di 17 anni ad opera di un 27enne. In un processo in cui la difesa ha sostenuto che la giovane se l’era cercata perché indossava un tanga di pizzo, uno dei deputati (una donna) ha mostrato un tanga blu di pizzo in aula proprio per denunciare “la routine di incolpare le vittime”, quando si tratta di molestie e abusi sulle donne. “Potrebbe sembrare imbarazzante mostrare un tanga qui”, ha osservato la parlamentare, “come pensate che si senta una vittima di stupro, quando in modo inappropriato viene mostrata la sua biancheria intima in un tribunale?”.
Il Centro di Dublino contro le violenze sulle donne non è entrato nel merito della sentenza, ma ha chiesto però una riforma del sistema giuridico in cui, a suo dire, vengono spesso usati questo tipo di pregiudizi contro le donne.
Eppure la legge italiana, la numero 66 del 15 febbraio 1996, parla chiaro: “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni”.
O ancora: l’articolo 609 ter stabilisce poi le aggravanti della violenza sessuale e tra queste c’è il fatto che la violenza venga commessa “con l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa”. Quindi viene da chiedersi: perché nel 2009, due uomini e una ragazza che avevano cenato insieme, lei aveva bevuto, i due l’avevano portata in camera da letto e avevano abusato di lei e quando dopo qualche ora la donna era andata al pronto soccorso e aveva descritto quanto accaduto, i due uomini erano stati assolti in primo grado da un giudice di Brescia, perché la donna non era stata riconosciuta attendibile?
Tristemente ci sono tantissimi casi come questi di cui si è fatto esempio. La cosa più brutta è provare a mettersi nei panni delle vittime di queste violenze. Le ripercussioni psicologiche che possono aver subito, il modo in cui si sono sentite e continueranno a sentirsi per sempre.
Sembra assurdo che nel 2019 si debba insegnare alle ragazze come e cosa indossare per non essere considerate troppo provocanti, ma non si insegna semplicemente agli uomini a non violentare. Questa tuttavia sembra essere diventata la nostra società.